Infortuni sportivi: nel post, principali infortuni, valutazione, terapie e manovre utili per il massaggiatore
Per gli atleti, il raggiungimento e il mantenimento di prestazioni ottimali rappresentano l’obiettivo primario, la vera essenza della loro disciplina.
Tuttavia, questo percorso è spesso ostacolato da un fattore critico: gli infortuni.
La prevenzione di tali eventi dovrebbe costituire una priorità assoluta, poiché un approccio proattivo può preservare l’integrità fisica e garantire la continuità dell’attività sportiva.
Nonostante ciò, molti atleti, spinti da una competitività innata o da obiettivi ambiziosi, tendono a superare i propri limiti, esponendosi a rischi significativi. In questi casi, gli infortuni non solo diventano inevitabili, ma spesso si manifestano in modo ricorrente, creando un ciclo debilitante che può compromettere la carriera e il benessere a lungo termine.
In questo contesto, il ruolo del massaggiatore si rivela fondamentale. Attraverso tecniche specializzate, è possibile non solo intervenire tempestivamente in caso di trauma, ma anche sviluppare strategie personalizzate per ridurre l’incidenza di lesioni ripetitive, favorendo così una performance sostenibile e una ripresa più efficace.
In caso di lesioni acute, come distorsioni, stiramenti muscolari, contusioni o traumi articolari, il primo e più efficace approccio terapeutico è il protocollo R.I.C.E. (dall’inglese Rest, Ice, Compression, Elevation). Questo metodo, ampiamente validato, ha l’obiettivo di ridurre dolore, infiammazione e gonfiore, accelerando così i tempi di recupero.
1. Riposo (Rest)
- Obiettivo: evitare ulteriori sollecitazioni della zona lesionata per prevenire aggravamenti.
- Applicazione: sospendere immediatamente l’attività fisica e limitare i movimenti che coinvolgono l’area interessata. In alcuni casi, può essere necessario l’utilizzo temporaneo di tutori o stampelle per scaricare il peso.
- Durata: variabile in base alla gravità della lesione (da 24-48 ore fino a settimane in casi più severi).
2. Ghiaccio (Ice)
- Obiettivo: vasocostrizione dei capillari per ridurre emorragie interne, edema e dolore.
- Applicazione:
– Utilizzare impacchi freddi (ghiaccio avvolto in un panno o gel criogenico) per evitare ustioni da freddo.
– Applicare per 15-20 minuti ogni 2-3 ore nelle prime 48-72 ore post-infortunio. - Effetti: diminuzione del metabolismo cellulare locale, limitazione della necrosi tissutale e attenuazione dello spasmo muscolare.
3. Compressione (Compression)
- Obiettivo: contenere il gonfiore e stabilizzare la zona lesionata.
- Applicazione:
– Bendaggio elastico (es. fascia ACE) o calze compressive, applicati con una pressione uniforme ma non eccessiva (per non ostacolare la circolazione).
– La compressione deve essere mantenuta nelle prime 48-72 ore, rimuovendola periodicamente per valutare lo stato dei tessuti.
4. Elevazione (Elevation)
- Obiettivo: favorire il drenaggio linfatico e ridurre l’accumulo di fluidi nell’area lesionata.
- Applicazione:
– Posizionare l’arto o la zona interessata al di sopra del livello del cuore (es. gamba sollevata su cuscini in posizione sdraiata).
– Mantenere l’elevazione il più possibile, specialmente nelle prime 24-48 ore.
Quando Applicare il Protocollo R.I.C.E.?
- Traumi muscolari (stiramenti, strappi).
- Lesioni legamentose (distorsioni di caviglia, ginocchio, polso).
- Contusioni con ematoma ed edema.
- Infiammazioni acute post-attività intensa (es. tendiniti iniziali).
Limitazioni e considerazioni
- Non sostituisce la valutazione medica in caso di fratture, lesioni gravi o sintomi persistenti.
- Fase acuta vs. cronica: dopo 72 ore, il calore e la mobilizzazione passiva possono essere più appropriati per favorire la riparazione tissutale.
- Varianti moderne: alcuni professionisti integrano il protocollo con il P.O.L.I.C.E.
Il protocollo P.O.L.I.C.E. rappresenta un’evoluzione del tradizionale metodo R.I.C.E. , integrando principi più avanzati di riabilitazione precoce e carico controllato. Questo approccio è particolarmente rilevante in ambito sportivo e fisioterapico, dove una gestione ottimale dell’infortunio può accelerare il recupero funzionale senza compromettere la guarigione tissutale.
L’acronimo P.O.L.I.C.E. sta per:
1. P – Protection (protezione)
- Obiettivo: evitare ulteriori danni alla zona lesionata nelle prime fasi post-infortunio.
- Applicazione:
– Utilizzo temporaneo di tutori, bendaggi funzionali o scarico parziale (es. stampelle) per proteggere l’area interessata.
– Attenzione: La protezione non significa immobilizzazione completa, ma una limitazione selettiva dei movimenti dannosi.
2. OL – Optimal Loading (carico ottimale)
- Concetto chiave: sostituisce il “riposo assoluto” del protocollo R.I.C.E., introducendo un carico progressivo e personalizzato per stimolare la riparazione tissutale.
- Applicazione:
– Esercizi di mobilizzazione precoce, contrazioni muscolari isometriche o carico parziale, adattati alla gravità della lesione.
– Esempi:
– Per una distorsione di caviglia: camminata assistita con bendaggio elastico.
– Per uno stiramento muscolare: contrazioni leggere senza dolore. - Benefici:
– Migliora la circolazione sanguigna e linfatica.
– Previene atrofia muscolare e rigidità articolare.
– Favorisce un allineamento corretto delle fibre durante la guarigione.
3. I – Ice (ghiaccio)
- Identico al protocollo R.I.C.E.:
– Applicazione di crioterapia (20 minuti ogni 2-3 ore) per ridurre dolore e infiammazione nelle prime 48-72 ore.
– Precauzione: evitare il contatto diretto con la pelle per prevenire ustioni da freddo.
4. C – Compression (compressione)
- Come in R.I.C.E.:
– Bendaggio elastico o calze compressive per limitare l’edema e stabilizzare i tessuti.
– Monitorare per evitare costrizione eccessiva (segni: intorpidimento, cambio di colore della pelle).
5. E – Elevation (elevazione)
- Mantenuta dal R.I.C.E.:
– Tenere l’arto sollevato sopra il livello del cuore per facilitare il drenaggio dei fluidi.
Il protocollo P.O.L.I.C.E. è particolarmente indicato per:
- Lesioni muscolari (strappi, stiramenti).
- Distorsioni articolari (ginocchio, caviglia).
- Tendinopatie acute (con infiammazione iniziale).
- Atleti o clienti che richiedono un recupero attivo rapido.
Vantaggi rispetto al R.I.C.E.:
- Evita l’eccessiva immobilizzazione, collegata a rigidità e perdita di forza.
- Stimola la guarigione attraverso il movimento, sfruttando il principio della “meccano-trasduzione” (i tessuti si riparano meglio con stimoli meccanici controllati).
- Riduce i tempi di recupero grazie a un approccio più dinamico.
Limitazioni e precauzioni:
- Non adatto a fratture, lacerazioni gravi o lesioni con instabilità evidente (in questi casi, serve valutazione medica).
- Richiede competenza nella valutazione del carico ottimale: un eccesso di attività può ritardare la guarigione.
- Da adattare caso per caso: età, livello sportivo e tipo di tessuto influenzano la progressione.
Principali tipologie di infortuni sportivi
Gli atleti, in virtù della loro costante ricerca della massima performance, sono esposti a un’ampia gamma di infortuni sportivi, che possono essere classificati in tre categorie principali:
- traumi da contatto,
- distorsioni muscolari e legamentose,
- uso eccessivo.
1. Traumi da contatto
Le lesioni da contatto costituiscono un insieme di traumi indotti da impatti diretti, cadute o urti accidentali, che possono verificarsi in qualsiasi contesto, dall’attività quotidiana a quella sportiva.
Sebbene tali incidenti possano interessare individui appartenenti a diverse categorie, l’evoluzione e le conseguenze dei traumi presentano dinamiche differenti tra soggetti non specialisti e atleti, a causa di specifiche variabili legate alla fisiologia, al comportamento e all’ambiente di intervento.
In seguito a un impatto diretto, la regione interessata subisce un trauma incaricato di rompere l’integrità dei piccoli vasi sanguigni locali. La conseguente fuoriuscita di sangue, unitamente all’edema, dà origine alla formazione di ematomi e ad un’infiammazione acuta. Durante questa fase, il gonfiore è principalmente costituito da un fluido interstiziale ricco di eritrociti e leucociti, essenziali nella risposta infiammatoria e nel processo di riparazione dei tessuti danneggiati. Tale risposta, pur essendo un meccanismo difensivo, può esacerbare l’area di trauma se non gestita adeguatamente.
Negli individui non specializzati, l’insorgenza di dolore post-traumatico induce tipicamente un’immediata sospensione dell’attività, limitando così l’ulteriore dispersione del sangue e la progressione dell’ematoma. Al contrario, gli atleti, immersi in contesti competitivi come partite di football, hockey o basket, tendono a proseguire l’attività nonostante l’infortunio.
Questa decisione, motivata dalla determinazione e dalla pressione dell’ambiente sportivo, comporta un protrarsi della contrazione muscolare nell’area lesa durante l’attività. Le contrazioni prolungate, favoriscono un ulteriore sanguinamento attraverso una rete capillare compromessa, aggravando l’entità dell’ematoma e contribuendo potenzialmente a complicazioni prolungate nel processo di guarigione.
Per mitigare i danni derivanti dalle lesioni da contatto, è fondamentale avviare un intervento curativo immediato e strutturato. Il protocollo R.I.C.E o P.O.L.I.C.E, rappresentano un approccio consolidato nel trattamento delle prime fasi del trauma:
Complementariamente, l’impiego di tecniche manuali come la frizione trasversa profonda (DTF), conosciuta anche come massaggio di frizione di Cyriax, si configura come un valido alleato nella stimolazione del ripristino tissutale. Questa tecnica, mediante movimenti trasversali mirati, facilita la riorganizzazione delle fibre danneggiate e accelera la risoluzione dell’infiammazione, contribuendo in modo significativo al processo di rigenerazione.
La gestione ottimale delle lesioni da contatto richiede una comprensione approfondita dei meccanismi biologici sottostanti e delle differenze comportamentali che caratterizzano atleti e non atleti.
Un approccio di intervento tempestivo, basato su protocolli curativi strutturati e personalizzati, risulta essenziale per limitare le complicanze e per favorire un recupero funzionale rapido e duraturo.
2. Distorsioni muscolari e legamentose
Le distorsioni muscolari e le lesioni dei legamenti rappresentano due entità cliniche derivanti da un eccessivo carico meccanico applicato ai tessuti connettivi del corpo. Tali lesioni, sebbene abbiano in comune l’insorgenza per sovraccarico, si differenziano notevolmente per la natura dei tessuti coinvolti e per il loro processo riparativo.
Gli infortuni di questa categoria si manifestano frequentemente in seguito ad attività fisica intensa o a movimenti scorretti, come la corsa ad alta velocità, il sollevamento improprio di carichi elevati e l’adozione di posture non ottimali.
Nel contesto delle distorsioni muscolari, il danno ha origine da micro-rotture delle fibre che, essendo parte di un tessuto altamente vascolarizzato, si accompagnano quasi sempre a una reazione emorragica locale. Il sanguinamento che interessa il tessuto muscolare comporta l’insorgenza immediata di gonfiore ed ematomi, fenomeni che evidenziano la robusta presenza di capillari attivi nel fornire ossigeno e sostanze nutritive per il processo di riparazione.
Al contrario, le lesioni dei legamenti sono caratterizzate da una compromissione strutturale causata da sovraccarichi, ma non presentano la medesima risposta emorragica. I legamenti, infatti, sono strutture avascolari o con una vascolarizzazione limitata, che si affidano prevalentemente al processo di diffusione per ottenere ossigeno e nutrienti dai tessuti circostanti.
Tale differenza fondamentale determina un diverso comportamento delle lesioni: mentre il sanguinamento nelle lesioni muscolari può intensificare l’infiammazione e rendere più evidente il trauma, l’assenza di una marcata risposta emorragica nei legamenti implica che le strategie terapeutiche devono essere attentamente calibrate per favorire la diffusione di ossigeno e sostenere il processo riparativo.
Nel trattamento delle distorsioni muscolari, l’intervento immediato con l’applicazione di ghiaccio risulta essenziale. La terapia criogena, infatti, oltre a ridurre il sanguinamento iniziale, limita l’infiammazione e attenua il gonfiore, consentendo una mitigazione del dolore e una riduzione dei tempi necessari per l’inizio del recupero. In questi casi, il periodo di applicazione del ghiaccio può estendersi anche oltre le 48 ore, in relazione all’entità del danno e alla risposta individuale dei tessuti coinvolti.
Per quanto concerne le lesioni dei legamenti, una terapia basata sull’applicazione prolungata del freddo può risultare controproducente. L’estensione dell’esposizione al ghiaccio, infatti, rischia di intensificare la vasocostrizione dei tessuti circostanti, ulteriormente limitando il già scarso flusso sanguigno necessario per diffondere ossigeno e sostanze rigenerative ai legamenti danneggiati. Di conseguenza, un approccio curativo per le lesioni legamentose deve privilegiare tecniche alternative, orientate a favorire il ritorno graduale del normale flusso ematico e a supportare la rigenerazione cellulare senza compromettere ulteriormente il microambiente locale.
La comprensione delle specificità anatomiche e fisiologiche che distinguono le distorsioni muscolari dalle lesioni dei legamenti si rivela cruciale per definire un protocollo riabilitativo efficace. Un approccio tempestivo e differenziato, basato su evidenze scientifiche, potrà non solo ottimizzare la gestione del dolore e dell’infiammazione, ma anche accelerare il processo di guarigione, riducendo i tempi di inattività e facilitando il ritorno all’attività sportiva o quotidiana.
3. Uso eccessivo
Il fenomeno dell’uso eccessivo rappresenta una delle principali cause di infortuni muscolari nelle discipline sportive e nelle attività fisiche intense. Questo trauma deriva da allenamenti prolungati o estremamente impegnativi, che producono ripetute microlesioni all’interno delle fibre muscolari.
Tale condizione, comunemente definita “sindrome da uso eccessivo”, si manifesta attraverso un ciclo di dolore e rigidità che interessa in maniera particolare gli atleti, costringendoli ad una frequente richiesta di intervento specialistico.
L’attività fisica intensa induce sollecitazioni meccaniche ripetute sui muscoli, determinando la comparsa di micro-lacerazioni. Questi piccoli danni strutturali, se accumulati nel tempo, innescano un processo infiammatorio che si traduce in sintomi clinici evidenti, soprattutto nelle fasi di riposo.
Un aspetto caratteristico di questa condizione è la percezione di dolore e tensione particolarmente accentuata al risveglio. Durante la notte, infatti, la funzione della cosiddetta “pompa muscolare“, responsabile del ricircolo sanguigno e della fornitura di ossigeno alle cellule muscolari, risulta notevolmente inattiva. Questo porta a una ridotta capacità dei mitocondri di sintetizzare l’adenosina trifosfato (ATP), il carburante primario necessario per il corretto ciclo di contrazione e rilassamento dei muscoli.
Il processo fisiologico della pompa muscolare si basa sull’alternanza di contrazioni e rilassamenti, che favorisce lo scambio sanguigno: il sangue “usato” viene progressivamente espulso, mentre scorre al suo posto il sangue ricco di ossigeno e nutrienti. Tuttavia, un allenamento intensivo e prolungato può portare a un incremento del tono muscolare anche durante il riposo notturno, causando una resistenza al flusso sanguigno ottimale. Di conseguenza, l’ossigenazione dei tessuti risulta compromessa, e la sintesi di ATP viene notevolmente rallentata. Tale deplezione energetica si manifesta clinicamente come una marcata tensione e un dolore persistente al mattino, sintomi che indicano uno stato di affaticamento muscolare avanzato.
Nel contesto della pratica del massaggiatore, il dolore acuto e la rigidità muscolare al risveglio assumono un ruolo diagnostico fondamentale. Gli atleti riferiscono frequentemente una riduzione dei sintomi durante l’attività fisica, probabilmente in seguito all’attivazione della pompa muscolare durante l’esercizio, con un successivo ritorno e, talvolta, un aggravarsi del disagio una volta concluso l’allenamento.
Questa dinamica è di particolare interesse per i massaggiatori, in quanto l’intensità del dolore mattutino può essere utilizzata come indicatore indiretto del livello di tensione residua e della vulnerabilità del tessuto muscolare a lesioni ulteriori. Una maggiore intensità dei sintomi è spesso correlata a un accumulo di microtraumi non del tutto compensati, condizione che prefigura un rischio maggiore di infortuni durante le fasi successive dell’attività sportiva.
La gestione dell’uso eccessivo richiede un approccio multidisciplinare che combini adeguate strategie preventive e interventi terapeutici mirati.
Tra le misure preventive si annoverano:
- Regolazione del carico di allenamento: la modulazione della frequenza, durata e intensità degli allenamenti è fondamentale per evitare un eccessivo accumulo di micro-lesioni.
- Recupero attivo e tecniche di mobilizzazione: esercizi di stretching e mobilizzazione, unitamente a sedute di massaggio, possono favorire il ristabilimento dell’equilibrio muscolare e il miglioramento della circolazione.
- Interventi mirati al ripristino della pompa muscolare: attività a bassa intensità svolte nella prima parte della giornata possono attivare il meccanismo di ricircolo sanguigno e contribuire al ripristino dei livelli ottimali di ATP, alleviando così il dolore e la rigidità.
Dal punto di vista curativo, la valutazione del livello di tensione muscolare al mattino fornisce un utile parametro di riferimento per monitorare l’efficacia degli interventi e personalizzare i piani di recupero. Il controllo di questi fattori risulta essenziale per prevenire aggravamenti e per garantire un ritorno sicuro e funzionale all’attività sportiva.
Valutazione complessiva degli infortuni sportivi
Una valutazione sistematica e approfondita degli infortuni sportivi rappresenta il primo e imprescindibile passo per definire la gravità del danno tissutale e pianificare un intervento mirato e personalizzato.
La metodologia di esame richiede una valutazione integrata delle strutture anatomiche interessate, in particolare muscoli, tendini, legamenti e le loro corrispondenti inserzioni, al fine di cogliere ogni dettaglio dell’insulto subito.
Nel contesto dell’esame curativo, l’integrità dei tessuti molli, che in condizioni normali funziona in maniera sinergica ed efficiente senza manifestare dolore, debolezza o limitazioni funzionali, costituisce il parametro di riferimento per valutare lo stato di salute dell’area interessata.
Il professionista deve procedere con un accurato monitoraggio dell’intervallo di movimento (ROM – Range of Motion) e delle variazioni funzionali, prestando particolare attenzione alle alterazioni che emergono in condizioni statiche e dinamiche.
La misurazione del dolore deve essere effettuata durante differenti fasi:
- a riposo,
- durante specifici movimenti che aggravano il sintomo
- e nel momento in cui viene applicata una resistenza.
In questo modo si ottiene un quadro completo dello stato tissutale e funzionale.
Uno degli strumenti diagnostici fondamentali è l’esame manuale tramite palpazione, il quale consente di valutare direttamente la tensione e la consistenza dei muscoli coinvolti. Durante questa fase, il massaggiatore dovrà esercitare particolare cautela, poiché l’applicazione della pressione sul tessuto infortunato può accentuare la percezione del dolore. L’impiego di test specifici, quali la valutazione della contrazione muscolare sia in modalità isometrica che dinamica, fornisce informazioni preziose circa la capacità funzionale e il grado di resistenza del comparto colpito.
Il successo nell’assessment dell’infortunio passa inevitabilmente attraverso la comprensione approfondita delle dinamiche funzionali e della meccanica del movimento. La capacità di interpretare con precisione i pattern di compensazione e di individuare eventuali disfunzioni motorie richiede, pertanto, almeno una conoscenza base in ambito kinesiologico. Tale conoscenza permette al terapista di integrare le evidenze con i principi funzionali dell’attività muscolare, fornendo così la base per l’elaborazione di un protocollo di trattamento che sia tanto efficace quanto personalizzato.
I tessuti molli possono essere suddivisi in due categorie distinte, ognuna con caratteristiche anatomiche e funzionali peculiari:
- Tessuti contrattili: questa categoria comprende strutture deputate al movimento e alla generazione di forza, quali i muscoli e i tendini. Di notevole interesse è l’inclusione, relativamente recente, delle fasce muscolari, che svolgono un ruolo fondamentale nel coordinamento e nella trasmissione della forza propulsiva. Questi tessuti sono direttamente responsabili della locomozione e del controllo motorio, rendendoli essenziali per prestazioni atletiche ottimali.
- Tessuti inerti: in questa seconda categoria rientrano legamenti, capsule articolari, cartilagini e borse articolari. Questi elementi non generano movimento autonomo, ma fungono da stabilizzatori e ammortizzatori, assicurando la coesione e la stabilità delle articolazioni. Il loro limitato apporto ematico e la natura densa del tessuto ritardano il processo riparativo in caso di lesioni, richiedendo protocolli di differenziati rispetto a quelli impiegati per i tessuti contrattili.
La valutazione funzionale post-trauma è un passaggio essenziale per definire l’entità e la localizzazione della lesione. Le seguenti linee guida forniscono una struttura sistemica per l’esame dinamico dei tessuti molli negli infortuni sportivi, mirata a rilevare alterazioni nel range di movimento, la presenza di dolore e la capacità del tessuto di sostenere il carico:
1. Valutazione passiva del range di movimento
- Procedura: il massaggiatore guida passivamente l’articolazione interessata fino a raggiungere circa il 50% del suo intervallo di movimento. Al raggiungimento di questa posizione, l’atleta viene invitato a mantenere tale posizione mentre il supporto viene progressivamente ritirato.
Interpretazione dei Risultati:
- Incapacità di mantenimento: se l’atleta non riesce a sostenere da solo la posizione a metà intervallo, è indicativo di un infortunio acuto e potenzialmente grave, con elevato coinvolgimento delle fibre tessutali, fino a una possibile rottura.
- Poco sostegno con dolore: se l’atleta riesce a mantenere la posizione, seppur accompagnato da dolore e con un supporto minimo, si può orientare verso una lesione di minore estensione, con una stabilità residua dei tessuti interessati.
2. Valutazione attiva del movimento
- Procedura: l’atleta viene invitato a eseguire lentamente l’azione specifica di movimento supportato dal muscolo in esame. Durante l’esecuzione, il cliente deve fermarsi al primo segnale di disagio o dolore.
- Esempio: consideriamo, ad esempio, il test per valutare l’abduzione dell’articolazione della spalla. Se il soggetto avverte dolore sin dai primi istanti di un’abduzione attiva, ciò suggerisce un coinvolgimento del muscolo sovraspinato. In un caso alternativo, l’atleta potrebbe essere in grado di eseguire l’abduzione fino a circa 80 gradi, con l’insorgenza del dolore a partire da quella soglia: questo scenario potrebbe indicare un interessamento del muscolo deltoide o la presenza di una compressione della borsa subacromiale.
3. Valutazione della resistenza muscolare
- Procedura: il massaggiatore guida l’atleta a contrarre il muscolo in esame attraverso una progressione controllata di intensità, iniziando da una contrazione leggera fino a raggiungere circa l’85% della sua potenza massimale, opponendo una resistenza progressivamente crescente. Durante questo processo, l’attenzione deve concentrarsi sull’insorgenza del dolore o del disagio.
Interpretazione dei Risultati:
- Dolore precocemente insorgenza: se il cliente riferisce un’immediata comparsa di dolore al minimo livello di resistenza, ciò denota un ampio coinvolgimento delle fibre muscolari danneggiate.
- Dolore a livello moderato di contrazione: se, invece, il dolore si manifesta solo quando si raggiunge l’80–90% della contrazione massimale, si può ipotizzare che il danno interessi un numero limitato di fibre, suggerendo una lesione più contenuta e con una prognosi favorevole.
Analisi dei tessuti
La valutazione della funzionalità dei tessuti è essenziale per individuare la presenza di dolore, debolezza o la loro combinazione, al fine di comprendere con precisione lo stato di muscoli, tendini, legamenti e le connessioni con le strutture ossee.
Un massaggiatore esperto dovrebbe prestare attenzione alle segnalazioni dei clienti che spesso riescono a comunicare sensazioni corporee in modo chiaro e dettagliato. Frasi come “Avverto debolezza” o “Provo dolore quando compio questo movimento” rappresentano indicazioni cruciali che orientano immediatamente l’esame verso specifiche aree di interesse.
Tessuti forti e privi di dolore generalmente non necessitano di ulteriori accertamenti, mentre situazioni più complesse richiedono un approfondimento sistematico.
Caso 1: debolezza senza dolore
Una condizione di debolezza dei tessuti non accompagnata da dolore può suggerire un’innervazione insufficiente dell’area interessata. Tale condizione potrebbe verificarsi in situazioni in cui la parte motoria del nervo, responsabile del trasferimento dei segnali dalla corteccia motoria ai muscoli, presenta una lieve irritazione. Ciò avviene senza che si manifestino alterazioni nella parte sensoriale, deputata alla trasmissione dei segnali dai recettori periferici al cervello. In tali circostanze, il cliente sperimenta debolezza muscolare senza alcuna sensazione dolorosa.
Un ulteriore scenario riguarda un disturbo propriocettivo che compromette la comunicazione tra gruppi muscolari antagonisti, spesso causato da traumi o irritazioni nervose. Ad esempio, durante la flessione del gomito tramite il bicipite, la debolezza può insorgere a causa della mancata rilassatezza del tricipite, che ostacola la corretta esecuzione del movimento.
Caso 2: dolore e debolezza associati
Quando il test di resistenza rivela tessuti caratterizzati da dolore e debolezza in risposta a movimenti contrastati, la possibilità di una lesione locale diventa concreta. Per ottenere risultati affidabili durante l’esame, è indispensabile applicare una resistenza contrapposta in modo preciso rispetto alla direzione della contrazione muscolare fisiologica. Successivamente, una palpazione attenta e mirata consentirà di individuare con maggiore precisione la posizione della lesione.
Tendini
I tendini rappresentano strutture anatomiche fondamentali che garantiscono la connessione tra muscoli e ossa, facilitando il movimento e l’equilibrio corporeo. Queste robuste bande di fibre di collagene, organizzate in una conformazione simile a corde, sono dotate di una elasticità sufficiente a prevenire lesioni, pur sostenendo il movimento dinamico. Tuttavia, non possiedono la capacità contrattile dei muscoli.
Ad esempio, durante la contrazione del muscolo del polpaccio, il tendine di Achille viene sollecitato, esercitando una trazione che permette la flessione plantare del piede. Tale proprietà elastica consente movimenti come il rimbalzare sulle punte dei piedi, un processo in cui il tendine di Achille svolge un ruolo chiave.
Rispetto ai muscoli, i tendini sono maggiormente predisposti a subire danni, per diverse ragioni:
- Dimensione della sezione trasversale: la loro sezione trasversale ridotta rispetto ai muscoli limita la capacità di distribuire le forze applicate, rendendoli soggetti a tensioni superiori durante l’attività fisica.
- Posizione anatomica: i tendini spesso si localizzano in aree suscettibili di traumi, in particolare presso la loro inserzione sulle ossa.
- Scarso afflusso sanguigno: la circolazione sanguigna limitata comporta un’ossigenazione inefficiente, principalmente attraverso un lento processo di diffusione, a differenza del flusso sanguigno diretto che supporta i muscoli.
La tendinite rappresenta una condizione patologica caratterizzata dall’infiammazione del tendine o della sua guaina, manifestando dolore e rigonfiamento. Essa si verifica principalmente a seguito di tensioni muscolari o utilizzo eccessivo. L’irritazione costante del tendine, in alcune circostanze, può essere aggravata dal contatto del tendine con l’osso durante la contrazione muscolare, come nel caso della malattia di De Quervain.
Il trattamento iniziale prevede l’applicazione del protocollo R.I.C.E. o P.O.L.I.C.E. nelle prime 24-48 ore post-lesione.
In casi di tendinite cronica, interventi fisioterapici mirano a ridurre la tensione fasciale, migliorare la circolazione sanguigna e ristabilire la lunghezza muscolare fisiologica.
Tecniche come la frizione trasversale profonda , combinata con lo stretching passivo, possono favorire la riabilitazione funzionale.
La rottura di un tendine, definita come separazione del tendine dal muscolo o dall’osso, può essere parziale o totale e rappresenta un evento traumatico spesso associato ad attività sportive ad alta intensità, caratterizzate da contrazioni violente o improvvisi cambi di direzione. Atleti non adeguatamente preparati o privi di un corretto riscaldamento muscolare risultano maggiormente vulnerabili a tali lesioni.
Il trattamento consiste generalmente nella riparazione chirurgica, seguita da un periodo di immobilizzazione di circa tre settimane, necessario per favorire la guarigione. Successivamente, viene avviata la fase di riabilitazione, mirata a recuperare la funzionalità del tendine. Le sedi più comuni di rottura includono il tendine di Achille, il tendine del bicipite brachiale e, in misura minore, il tendine del quadricipite femorale.
Legamenti
I legamenti costituiscono un componente fondamentale del sistema articolare, caratterizzandosi per la loro elevata densità e rigidità, che li rende notevolmente meno elastiche rispetto ai tendini. Queste strutture di tessuto connettivo, composte prevalentemente da fibre di collagene disposte in maniera compatta, si inseriscono direttamente sulle ossa nei punti di contatto, contribuendo attivamente alla formazione e alla stabilità delle articolazioni.
Il compito principale dei legamenti è assicurare la stabilità articolare durante l’esecuzione dei movimenti. Essi limitano l’eccessivo spostamento delle ossa, mantenendo l’integrità strutturale dell’articolazione e prevenendo deragliamenti potenzialmente invalidanti.
Nonostante la loro funzione stabilizzante, i legamenti presentano una notevole rigidità e una limitata capacità di allungamento, condizioni che li rendono particolarmente sensibili a sollecitazioni estreme ed a movimenti rapidi e potenti. Inoltre, la scarsa vascolarizzazione – quasi una condizione avascolare, determina un lento processo di riparazione in caso di trauma, indicando come il recupero possa richiedere tempi più lunghi rispetto ad altre strutture del sistema muscolo-scheletrico.
Lesioni ai legamenti possono manifestarsi in diverse forme. In caso di rottura parziale delle fibre, si parla di distorsione, una condizione in cui l’articolazione interessata necessita di un’immediata immobilizzazione per evitare ulteriori danni strutturali. Quando il danno si estende al 100% delle fibre, si verifica una rottura completa del legamento, una situazione che solitamente impone l’intervento chirurgico per il ripristino della funzionalità articolare. Tale scenario è particolarmente critico negli sportivi, dove anche un’infrazione minore potrebbe compromettere la carriera, dato che ogni sottile alterazione nella stabilità delle articolazioni incide direttamente sulle performance atletiche.
La prontezza nel riconoscere e trattare le lesioni dei legamenti è determinante per il recupero funzionale. Il protocollo iniziale di intervento prevede l’adozione del modello R.I.C.E. o P.O.L.I.C.E., fondamentale entro le prime 24-48 ore dall’insorgenza del trauma per contenere l’infiammazione e prevenire l’aggravamento del danno. Durante le fasi acute della lesione, si sconsiglia qualsiasi attività o esercizio di allungamento, in quanto anche i movimenti passivi possono accentuare il dolore, soprattutto nella direzione in cui il legamento dovrebbe svolgere la sua funzione di stabilizzazione.
Ad esempio, la lesione di un legamento collaterale mediale del ginocchio si manifesta con un dolore localizzato e accentuato durante la rotazione dell’articolazione, rendendo evidente la precisa area danneggiata.
Per il recupero a medio e lungo termine, vi sono tecniche di terapia manuale specifiche, come la frizione trasversale profonda (DTF) applicata sia direttamente sul legamento coinvolto che sulle relative sedi di inserzione ossea. Queste tecniche, oltre a favorire una migliore microcircolazione, contribuiscono a prevenire la formazione di aderenze fibrose e ad aumentare la resistenza strutturale del tessuto, favorendo un recupero più efficace e duraturo.
Muscoli
I muscoli rappresentano il fulcro della motricità umana, essendo responsabili di ogni movimento, dalla semplice deambulazione alla complessa attività esecutiva richiesta in ambito sportivo.
Costituiti principalmente da acqua, che ne rappresenta circa il 70% del peso totale, essi sono composti da cellule specializzate in grado di contrarsi, generando forze dinamiche che agiscono direttamente sul sistema scheletrico. Tale contrazione, definita accorciamento muscolare, si traduce nella trasmissione di energia meccanica attraverso i tendini, che, fungendo da leve, muovono le ossa e ne determinano la posizione.
I tessuti muscolari sono organizzati in filamenti sottili e spessi, rispettivamente di actina e miosina, che interagiscano in maniera sincronizzata per produrre la contrazione. Questa complessa architettura microscopica permette la regolazione precisa della forza e della velocità del movimento. Ogni unità muscolare è attentamente orchestrata dal sistema nervoso, in modo da garantire una risposta rapida e coordinata agli stimoli esterni, rendendo i muscoli indispensabili per attività vitali quali la respirazione, l’alimentazione e la comunicazione verbale.
Il dolore muscolare, comune a seguito di attività fisiche intense o non abituali, può manifestarsi da otto a ventiquattro ore dopo l’onset dell’esercizio, un fenomeno noto come DOMS (Delayed Onset Muscle Soreness). Tale dolore, generalmente diffuso, è indicativo di un sovraccarico delle fibre muscolari e, seppur spiacevole, rappresenta una componente del processo adattativo e di rafforzamento. È importante, in queste fasi iniziali, privilegiare attività a basso impatto, come nuoto, ciclismo leggero o esercizi di mobilità che alleviano il disagio senza esacerbare il danno, evitando però un’immediata applicazione di esercizi di allungamento statico che potrebbero compromettere la fase riparativa e favorire la cicatrizzazione dei tessuti a livello microstrutturale.
Quando il dolore risulta fortemente localizzato e persiste per oltre 48 ore, si sospetta la presenza di una microlesione muscolare. Tali lesioni, se non adeguatamente trattate, possono portare alla formazione di tessuto cicatriziale, alterando la naturale elasticità e flessibilità del muscolo interessato. In presenza di micro-traumi, è auspicabile modificare l’allenamento, privilegiando esercizi senza carico e movimenti dolci che permettano la circolazione locale senza ulteriori sollecitazioni. Ad esempio, l’attività aerobica leggera (come il nuoto o il ciclismo a bassa intensità) può contribuire a mantenere il condizionamento generale, mentre il recupero della funzione muscolare (rispettivamente in termini di resistenza e forza) potrà essere gradualmente ripristinato attraverso un allenamento progressivo.
Lo strappo muscolare si configura come un infortunio più grave, in cui si osserva una lacerazione acuta delle fibre muscolari, caratterizzata da un dolore immediato, molto intenso e localizzato, che si accompagna spesso a una sensazione di “schiocco” al momento dell’infortunio e a una perdita parziale o totale della funzione muscolare.
Le cause principali dello strappo muscolare includono:
- Discrepanza tra forza applicata e capacità del tessuto muscolare, che genera uno stress eccessivo.
- Inadeguato riscaldamento pre-esercizio, fondamentale per aumentare la flessibilità delle fibre muscolari.
- Accumulo di microtraumatismi cronici, che riducono progressivamente l’elasticità tessutale.
- Sovrallenamento e insufficiente recupero, come fattori di stress continuo.
- Squilibrio tra i gruppi muscolari antagonisti, dove uno dei due non riesce a rilassarsi completamente, esponendo il muscolo all’eccessiva tensione.
- Anomalie strutturali, ad esempio piedi piatti o una lieve scoliosi, che possono predisporre il muscolo a movimenti disallineati.
- Idratazione e carenze di minerali, elementi fondamentali per il corretto funzionamento muscolare.
- Bassa base di allenamento, essenziale per garantire una resistenza adeguata ai carichi fisiologici.
Il trattamento delle lesioni muscolari, sia in caso di microlesioni che di strappi acuti, si basa su un approccio multimodale.
Le linee guida terapeutiche includono:
- Protocollo RICE o P.O.L.I.C.E.
- Esercizi a basso impatto: dopo la fase acuta, si raccomanda l’introduzione graduale di movimenti ripetitivi e delicati, finalizzati a migliorare la circolazione e a prevenire l’accumulo di tessuto cicatriziale.
- Tecniche manuali specifiche: l’impastamento in regime inibitorio e, laddove indicato, la frizione trasversale profonda (DTF) possono contribuire a ridurre le aderenze e a uniformare l’assetto delle fibre muscolari.
- Attenzione allo stretching: è fondamentale evitare l’allungamento eccessivo dei muscoli appena lesi, in quanto un’applicazione precoce di stretching statico potrebbe aggravare il danno, compromettendo il processo di guarigione.
- Terapia dei Trigger Point: Se i sintomi persistono oltre i 10-14 giorni, l’integrazione di tecniche focalizzate sui punti trigger e sulla stimolazione della circolazione può accelerare il recupero, mantenendo l’elasticità e ripristinando la lunghezza anatomica del muscolo.
Manovre utili per infortuni sportivi
Attrito trasversale profondo (DTF)
È una tecnica usata per trattare e riabilitare lesioni a muscoli, tendini e legamenti. La metodologia si basa sull’applicazione di una pressione trasversale, ossia perpendicolare (a 90°) rispetto alla direzione delle fibre del tessuto, finalizzata a rompere le aderenze e favorire un naturale rimodellamento del tessuto danneggiato.
I principi alla base dell’attrito trasversale profondo, sviluppati dal Dott. James Cyriax, prescrivono una conoscenza approfondita dell’anatomia interessata, in quanto la precisione nell’individuare il punto critico della lesione è essenziale per l’efficacia del trattamento.
Per garantire un’applicazione ottimale della tecnica, si osservano una serie di passaggi e linee guida che variano a seconda della natura del tessuto da trattare:
1. Localizzazione del punto critico: il trattamento deve essere eseguito esattamente nel punto in cui si riscontra il problema o all’interno del tessuto interessato, in modo da mirare direttamente all’area affetta.
2. Orientamento trasversale: l’attrito viene applicato trasversalmente, ossia a 90° rispetto alla grana delle fibre del muscolo, tendine o legamento. Questo approccio permette di “penetrare” le aderenze e favorire una migliore distribuzione delle tensioni interne, rendendo indispensabile una solida conoscenza anatomica.
3. Controllo della pressione e distribuzione del tessuto: nella tecnica il movimento di attrito è più importante della profondità con cui il trattamento viene effettuato. Per questo motivo non si utilizzano lubrificanti come l’olio, poiché questi potrebbero ridurre il contatto della pelle con il tessuto sottostante. La pressione applicata deve essere confortevole per il cliente ed è consigliabile somministrare il trattamento a giorni alterni, lasciando un giorno di riposo tra le sessioni, secondo il protocollo raccomandato da Cyriax.
4. Mantenimento della tensione del tessuto: il tessuto oggetto del trattamento deve essere teso in modo appropriato; non si tratta di lavorare su un tessuto lasso, poiché ciò potrebbe causare irritazione. Una leggera elasticità è necessaria per consentire all’attrito di agire efficacemente senza un eccesso di stress.
5. Applicazione specifica sui diversi tessuti:
- Muscoli: quando il l’attrito trasversale profondo viene applicato su un muscolo, lo si esegue mantenendo il tessuto al circa 80% della sua tensione massima. In questo modo le fibre muscolari sono sufficientemente distese per permettere di raggiungerle e separarle senza provocare un eccesso di dolore o ulteriore danno.
- Tendini: nel caso dei tendini, l’intervento deve essere applicato nella posizione più accessibile e con il tendine allungato per circa l’80% della sua estensione. Questo garantisce che il trattamento si svolga entro il livello di tolleranza del paziente, evitando irritazioni dovute a un eccesso di pressione.
- Legamenti: se il l’attrito trasversale profondo è destinato ai legamenti, il terapeuta deve lavorare con l’articolazione mantenuta al 90% del range di movimento controllato (ROM) dal soggetto infortunato. È importante massaggiare tutte le inserzioni del legamento raggiungibili, procedendo gradualmente verso i tessuti più profondi. Potrebbero essere necessarie sessioni ripetute per ottenere un effetto completo sui livelli più interni.
- Tendini rivestiti: nel caso specifico dei tendini rivestiti da una guaina, il trattamento si svolge con il tendine al di sotto del 90% di allungamento. Questa modalità consente al tendine di stabilizzarsi e formare una base solida, contro la quale la guaina può essere sfregata senza rischiare irritazioni.
Terapia dei Trigger Point
La terapia dei trigger point rappresenta una strategia curativa importante nel trattamento del dolore e della tensione muscolare. Riconosciuta sia in ambito medico che fisioterapico e massoterapico, questa tecnica si concentra sulla disattivazione dei noduli ipersensibili (trigger point) che, qualora stimolati, innescano risposte dolorose acute e riferite. La corretta gestione di tali aree clausolate si rivela essenziale per il recupero funzionale e la prevenzione di disfunzioni croniche.
I trigger point sono punti specifici situati all’interno dei muscoli che, in uno stato patologico, risultano ipersensibili alla pressione e generano dolore acuto sia localmente che in aree distalmente collegate attraverso fenomeni di irradiazione. Questi noduli rappresentano dei centri di vasocostrizione, che limitano l’apporto di ossigeno e riducono la produzione di ATP, la principale fonte energetica necessaria al ciclo contrattile. Di conseguenza, la presenza di trigger point attivi compromette la capacità del muscolo di allungarsi e accorciarsi in modo efficiente, contribuendo alla perpetuazione della tensione e del dolore.
I segnali clinici da riconoscere includono:
- Dolorabilità alla compressione: la pressione applicata sul trigger point genera una risposta immediata, spesso accompagnata dal classico “segno del salto” (la reazione istintiva di retrazione pronunciata da parte del cliente).
- Tensione e formazione di noduli: la palpazione rivela la presenza di aree focali di rigidità e noduli all’interno del tessuto muscolare.
- Irradiazione del dolore: il dolore acuto può estendersi lungo il ventre muscolare, segnalando la connessione funzionale tra il trigger point e altre aree di riferimento.
La disattivazione dei trigger point si ottiene principalmente attraverso l’applicazione mirata della compressione ischemica. Questa tecnica prevede che il massaggiatore applichi una pressione costante sul punto dolente, mantenendola entro il limite di tolleranza del cliente (generalmente non superiore a 60 secondi) per evitare ulteriori danni e stimolare il rimodellamento del tessuto.
Elementi chiave della procedura
- Scelta della direzione d’ingresso: prima di iniziare la compressione, è fondamentale individuare la direzione in cui la pressione provoca la risposta più intensa. L’angolazione d’ingresso, cioè l’orientamento con cui si applica la forza, deve essere selezionata in modo da massimizzare la deattivazione del trigger point senza superare il livello di disagio accettabile.
- Progressione graduale della pressione: la pressione deve essere aumentata lentamente, permettendo al ciente di adattarsi a ciascun incremento. Questa progressione è essenziale per prevenire una sovrastimolazione del sistema nocicettivo e per facilitare la risposta curativa.
- Controllo della durata: l’applicazione della compressione ischemica deve essere monitorata costantemente, limitandosi a un periodo massimo di circa 60 secondi per sessione, in modo da rimanere all’interno della tolleranza individuale e promuovere il recupero metabolico del tessuto interessato.
Un approccio ottimale alla terapia dei trigger point integra diverse tecniche per preparare, eseguire e consolidare il trattamento:
- Pre-trattamento con massaggio inibitorio e vibrazioni elettriche: prima di procedere con la compressione ischemica, si applicano interventi manuali in regime inibitorio. Questi, eventualmente associati a brevi sessioni di vibrazioni elettriche, aiutano a “calmare” l’area dolorosa, riducendo l’eccessiva sensibilità del sistema nervoso locale e promovendo una migliore risposta alla compressione.
- Connective Tissue Massage (CTM): spesso viene utilizzato come fase preliminare per ridurre la tensione fasciolare, facilitando così l’accesso al trigger point e migliorando la mobilità del tessuto.
- Fase di rieducazione post-trattamento: al termine della compressione ischemica, si consiglia di integrare il protocollo con esercizi di contrazione secondo il metodo PNF (Proprioceptive Neuromuscular Facilitation). e movimenti di Range of Motion (ROM). Questi esercizi aiutano a “riprogrammare” la funzionalità muscolare, favorendo il rilascio duraturo del trigger point e prevenendo la recidiva.
Di seguito viene fornita una descrizione degli esercizi di contrazione secondo il metodo PNF e dei movimenti di Range of Motion:
Esercizi PNF: tecniche di contrazione e allungamento
Il metodo PNF è una strategia che sfrutta le contrazioni isometriche o concentriche seguite da immediate fasi di stretching per migliorare la flessibilità e il controllo neuromuscolare. Le due tecniche più diffuse sono il Hold-Relax e il Contract-Relax.
1. Tecnica Hold-Relax
Obiettivo: migliorare l’allungamento del muscolo attraverso una contrazione isometrica seguita da un rilassamento profondo e uno stiramento passivo.
Come procedere:
- Posizionamento: il massaggiatore posiziona il cliente in modo che il muscolo da allungare sia in una posizione di stiramento moderato, senza però generare dolore eccessivo.
- Fase di contrazione (Hold): istruire il cliente a contrarre il muscolo target contro una resistenza (solitamente applicata dal massaggiatore) per una durata di circa 5-10 secondi. Durante questo tempo, il movimento delle articolazioni deve essere mantenuto statico, impedendo il movimento (contrazione isometrica).
- Rilascio e allungamento (Relax): il cliente viene invitato a rilasciare la contrazione. Subito dopo, il massaggiatore sospende ulteriori stiramenti passivi della zona per un periodo di 20-30 secondi, portando il muscolo a esplorare un allungamento maggiore senza sovraccaricarlo.
- Ripetizione: questo ciclo può essere ripetuto 2-3 volte, monitorando la reazione del cliente e la tolleranza alla tensione.
2. Tecnica Contract-Relax
Obiettivo: simile al metodo Hold-Relax, la tecnica Contract-Relax mira a ottenere una maggiore estensione muscolare attraverso la contrazione seguita dal rilassamento e dall’allungamento.
Come procedere:
- Posizionamento: collocare il cliente in una posizione tale da consentire un allungamento progressivo del muscolo interessato.
- Contrazione (Contract): istruire il cliente a contrarre il muscolo con forza controllata (anche se non massima) per circa 5-10 secondi contro una resistenza, mantenendo il movimento contenuto.
- Rilascio e stiramento (Relax): dopo la contrazione il massaggiatore esegue un passivo allungamento aggiuntivo del muscolo. Il tempo di mantenimento dello stiramento può variare tra 20 e 30 secondi.
- Possibili variazioni: in alcuni casi, a seconda della sensibilità del cliente, la contrazione può essere fatta in modo dinamico: contrarre e rilassare in sequenze ripetute per “insegnare” al muscolo un migliore controllo dell’allungamento.
Movimenti di Range of Motion (ROM)
I movimenti di Range of Motion (ROM) sono esercizi volti a migliorare la mobilità articolare e a mantenere o ripristinare l’intero arco di movimento. Questi esercizi si classificano in movimenti attivi, attivi-assistiti e passivi e vengono eseguiti gradualmente, rispettando le tolleranze del cliente.
1. ROM passivi
Obiettivo: consentire il movimento dell’articolazione senza che il cliente debba impegnare i muscoli attivamente, utile nelle fasi iniziali della riabilitazione o in seguito a infortuni acuti.
Come procedere:
- Posizionamento: il cliente viene messo in una posizione confortevole e rilassata.
- Esecuzione: il massaggiatore esegue movimenti lenti e controllati sull’articolazione, portandola lungo il suo arco di movimento massimo senza causare dolore.
- Indicazioni: è importante evitare movimenti bruschi; il massaggiatore controlla la velocità e l’ampiezza del movimento.
2. ROM attivi
Obiettivo: coinvolgere il cliente nell’esecuzione autonoma del movimento per stimolare il controllo neuromuscolare e la forza.
Come procedere:
- Istruzioni al cliente: il cliente deve eseguire lentamente e in maniera controllata l’intero arco di movimento dell’articolazione colpita. L’obiettivo è quello di massimizzare gradualmente l’ampiezza del movimento senza provocare dolore acuto.
- Monitoraggio: il massaggiatore guida il cliente, correggendo eventuali schemi di movimento errati, e incoraggia il cliente a mantenere la postura appropriata.
3. ROM attivi-assistiti
Obiettivo: unire i benefici del movimento attivo e passivo, soprattutto se il cliente ha una limitata capacità di eseguire movimenti in autonomia.
Come procedere:
- Collaborazione: il cliente tenta di eseguire il movimento mentre il massaggiatore fornisce assistenza, ad esempio supportando manualmente l’arto o suggerendo la progressione del movimento.
- Gradualità: l’ausilio viene offerto in modo progressivo, in modo che il cliente sviluppi forza e controllo, riducendo gradualmente l’assistenza man mano che la mobilità migliora.
Indicazioni pratiche per il cliente
Per garantire risultati efficaci ed evitare complicazioni, è importante che il cliente segua queste indicazioni durante l’esecuzione degli esercizi PNF e dei movimenti ROM:
- Comunicazione: il cliente deve segnalare eventuali sensazioni dolorose o fastidio eccessivo. Una comunicazione aperta con il massaggiatore permette di adattare il carico e la durata dell’esercizio.
- Rilassamento: durante tutte le fasi, è fondamentale mantenere respirazioni regolari e controllate. Un rilassamento del corpo favorisce il miglioramento del movimento e riduce la tensione muscolare.
- Progressione graduale: sia negli esercizi PNF che nei ROM, la progressione deve essere graduale. È preferibile un aumento lento e sicuro del carico e dell’ampiezza del movimento, per evitare sovraccarichi.
- Costanza: la ripetizione regolare degli esercizi, integrata in un programma di riabilitazione, contribuisce al miglioramento della flessibilità e del controllo neuromuscolare a lungo termine.