Massaggio e lesioni dei legamenti

Tempo di lettura: 11 minuti

La funzione dei legamenti, le lesioni e la strategia del massaggiatore . . .

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Nel contesto della terapia manuale, diventa imperativo che i professionisti del massaggio acquisiscano una conoscenza approfondita delle possibili alterazioni e disfunzioni dei tessuti molli muscoloscheletrici.

Tale preparazione consente di offrire ai clienti trattamenti altamente mirati e di elevata qualità, capaci di rispondere in maniera efficace alle molteplici esigenze curative e funzionali.

L’articolo che segue si propone di fornire un’analisi delle peculiarità anatomiche e funzionali dei legamenti, elementi strutturali fondamentali per la stabilità delle articolazioni. Attraverso un esame dettagliato delle caratteristiche intrinseche di questi tessuti, verranno esplorate le modalità con cui le alterazioni dei legamenti si manifestano sotto forma di problematiche comuni.

Questo approfondimento intende mettere in luce il ruolo cruciale che i legamenti svolgono non solo nel mantenimento della stabilità articolare, ma anche nella prevenzione e nella gestione delle lesioni.

Struttura e funzionalità dei legamenti

I legamenti sono strutture fondamentali per la stabilità e il corretto funzionamento delle articolazioni. Essi sono costituiti da tessuto connettivo fibroso, prevalentemente formato da fibre di collagene di tipo I, elementi che conferiscono estrema resistenza alla trazione, unite da un reticolo delicato di fibre elastiche e da una matrice extracellulare ricca di proteoglicani e glicoproteine. Questa composizione consente ai legamenti di sopportare le forze meccaniche esercitate durante i movimenti, mantenendo una combinazione equilibrata di rigidità e flessibilità.

A livello microscopico, i legamenti presentano una struttura gerarchica:

  • Fibrille di collagene: le fibre sottili sono organizzate in fibrille, ciascuna con una disposizione parallela che risponde in modo ottimale alle sollecitazioni di tensione.
  • Fibre e fascicoli: le fibrille si aggregano per formare fibre più spesse, che a loro volta si raggruppano in fascicoli. Questa organizzazione conferisce una resistenza strutturale notevole, permettendo un’efficace distribuzione delle forze lungo l’intera lunghezza del legamento.
  • Stratificazione e orientamento: in molti legamenti, le fibre sono orientate nella stessa direzione della forza predominante, in modo da massimizzare la capacità di resistere alla trazione. Adattamenti a livello microstrutturale, come la riorganizzazione delle fibre in seguito a un carico meccanico costante, evidenziano la dinamica natura di queste strutture.

In aggiunta, i legamenti contengono cellule specifiche, principalmente fibroblasti, responsabili della sintesi e del mantenimento della matrice extracellulare. Anche se la vascolarizzazione è modesta, essa consente un minimo apporto di nutrienti e la distribuzione di cellule immunitarie, elementi importanti per il processo di riparazione in caso di lesioni.

La principale funzionalità dei legamenti è quella di connettere le ossa tra loro, assicurando la stabilità delle articolazioni e limitando i movimenti eccessivi che potrebbero compromettere l’integrità strutturale dell’arto.

Di seguito alcuni aspetti chiave:

  • Stabilizzazione articolare: i legamenti impediscono movimenti anomali, come rotazioni o traslazioni in eccesso, che potrebbero portare a dislocazioni o a danni al compartimento articolare. Ad esempio, i legamenti del ginocchio sono essenziali per controllare movimenti complessi che coinvolgono sia la rotazione che la traslazione.
  • Propriocezione: al di là della semplice funzione meccanica, molti legamenti sono dotati di recettori meccanici (propriocettori) che permettono al sistema nervoso centrale di monitorare e regolare la posizione e il movimento delle articolazioni. Questa funzione sensoriale è cruciale per coordinare i movimenti e mantenere l’equilibrio durante le attività quotidiane e sportive.
  • Assorbimento degli urti: nonostante non siano progettati per assorbire urti in modo primario, i legamenti, grazie alla loro struttura elastica, aiutano a smorzare le forze d’impatto durante movimenti repentini, riducendo il rischio di lesioni.
  • Adattamento al carico: i legamenti mostrano proprietà meccaniche viscoelastiche, il che significa che la loro risposta alla sollecitazione non è lineare. Presentano una caratteristica “toe region” (la toe region è parte iniziale della curva sforzo-deformazione di un tessuto) all’inizio del carico, in cui piccole forze producono una notevole estensione dovuta allo sblocco delle fibre, seguita da una regione lineare in cui l’allungamento è proporzionale al carico applicato. Questo comportamento permette una certa “flessibilità controllata” e un adattamento progressivo alle forze applicate durante l’attività fisica.

La capacità di guarigione dei legamenti è limitata dalla loro scarsa vascolarizzazione. Ciò significa che, in caso di lesioni come strappi o rotture, il processo di riparazione può essere lento e incompleto. Tuttavia, alcuni legamenti, come il legamento collaterale mediale del ginocchio, mostrano una naturale propensione alla guarigione grazie a un migliore apporto vascolare rispetto ad altri, come il legamento crociato anteriore.

Il compromesso tra rigidità e flessibilità, insieme alla capacità di adattarsi alle esigenze biomeccaniche, rende i legamenti componenti essenziali per la funzionalità articolare. Eventuali alterazioni nella struttura o nella composizione dei legamenti possono portare a instabilità articolare e ad un maggior rischio di infortuni, soprattutto in atleti e persone che praticano attività fisica intensa.

Questa analisi evidenzia come la complessità della struttura dei legamenti sia strettamente legata alle loro funzionalità essenziali per la biomeccanica del corpo umano. La perfetta integrazione tra resistenza, elasticità e capacità sensoriale permette alle articolazioni di operare in modo sicuro ed efficiente, affrontando le sfide poste dalle attività quotidiane e sportive.

Distorsioni legamentose

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Le distorsioni legamentose rappresentano una delle più frequenti lesioni dell’apparato muscolo-scheletrico, derivanti da sollecitazioni meccaniche che superano la capacità di resistenza del tessuto connettivo.

Queste lesioni, classificate in base alla gravità del danno strutturale, possono variare da un lieve stiramento delle fibre (distorsione di I grado) fino alla completa rottura del legamento (distorsione di III grado).

La comprensione dei meccanismi eziopatogenetici, delle caratteristiche biomeccaniche e delle strategie riabilitative risulta essenziale per un approccio curativo efficace.

La loro resistenza alle sollecitazioni tensili dipende dall’orientamento delle fibre e dalla loro capacità di deformarsi in modo elastico o plastico:

  • Deformazione elastica: in risposta a carichi moderati, il legamento si allunga temporaneamente, per poi ritornare alla sua lunghezza originale senza danni strutturali (tipico delle distorsioni di I grado).
  • Deformazione plastica: quando la forza applicata supera la soglia elastica, le fibre subiscono un allungamento permanente, compromettendo la funzione meccanica del legamento (distorsione di II grado).
  • Rottura completa: un carico eccessivo provoca la lacerazione delle fibre, con conseguente instabilità articolare (distorsione di III grado).

Oltre ai traumi acuti (tipici dell’attività sportiva), diversi fattori possono predisporre a lesioni legamentose:

  • Condizioni sistemiche del tessuto connettivo: pazienti affetti da sindrome di Ehlers-Danlos o sindrome di Marfan presentano una ridotta resistenza legamentosa a causa di alterazioni nella sintesi del collagene.
  • Influenze ormonali: l’aumento della relaxina in gravidanza induce lassità legamentosa, incrementando il rischio di distorsioni, specialmente a livello pelvico e del ginocchio.
  • Sollecitazioni croniche: carichi ripetitivi o microtraumi possono indebolire progressivamente il tessuto, predisponendo a lesioni anche in assenza di eventi traumatici acuti.

Il trattamento delle distorsioni legamentose richiede un approccio multimodale, che integri terapia manuale, esercizio riabilitativo e, nei casi più gravi, intervento chirurgico.

1. Massaggio trasverso profondo (frizione)

Sebbene il razionale tradizionale, che attribuisce a questa tecnica un effetto di riallineamento delle fibre collagene, sia stato parzialmente ridimensionato, studi recenti ne confermano l’efficacia nel:

  • Stimolare l’attività fibroblastica, promuovendo la riparazione tissutale.
  • Ridurre la formazione di aderenze fibrotiche tra i tessuti circostanti.

2. Terapie di “rilascio” legamentoso: mito o realtà?
Alcune metodiche manuali sostengono di indurre un “rilascio” del legamento, concetto privo di fondamento scientifico data l’assenza di capacità contrattile in queste strutture. È plausibile che eventuali benefici percepiti derivino da un’azione indiretta su muscoli e fasce circostanti, con riduzione della tensione globale.

3. Casistica clinica: esempi di distorsioni comuni

  • Legamento collaterale mediale (LCM) del ginocchio: resistente a sollecitazioni in valgo, è spesso coinvolto in traumi sportivi. Le distorsioni di II grado rispondono bene a protocolli conservativi (rinforzo del vasto mediale + stabilizzazione dinamica).
  • Legamento crociato anteriore (LCA): la rottura completa (III grado) richiede spesso ricostruzione chirurgica, seguita da un lungo percorso riabilitativo.
  • Legamenti tibiofibolari: comuni negli infortuni da inversione della caviglia, possono beneficiare di terapie fisiche combinate (laser, ultrasuoni) e taping funzionale.

A seguire, esploriamo tre tipologie di lesioni legamentose per scoprire come si manifestano e quali approcci terapeutici adottare.

1. Distorsione del legamento crociato anteriore

Il legamento crociato anteriore (LCA) (immagine sotto) è una componente essenziale per il mantenimento della stabilità articolare del ginocchio. Anatomicalmente, il LCA origina dalla parte anteriore della tibia e si inserisce sul femore in posizione posteriore, configurando una disposizione incrociata con il legamento crociato posteriore (LCP).

Questa particolare configurazione contribuisce in maniera significativa al mantenimento della stabilità dinamica, soprattutto sul piano sagittale, prevenendo lo spostamento anteriore e controllando i movimenti rotatori della tibia rispetto al femore.

La funzione primaria del LCA sostiene il contrasto al movimento in avanti della tibia e ne limita la rotazione, garantendo così una distribuzione equilibrata delle forze durante le attività funzionali.

In ambito sportivo o in contesti di movimento brusco, il sovraccarico meccanico riveste un ruolo determinante: durante una corsa interrotta improvvisamente, per esempio, il corpo genera una forza di traslazione notevole che spinge la tibia in avanti. In simultanea, la contrazione eccentrica del quadricipite, sebbene finalizzata ad arrestare il movimento, contribuisce ulteriormente al carico di trazione applicato sul LCA, predispone la struttura a lesioni.

Un ulteriore scenario patologico comprende le lesioni da iperestensione estrema, che possono verificarsi in seguito a impatti diretti su un ginocchio esteso o a un atterraggio scorretto dopo un salto, eventi che comportano una sollecitazione anomala del legamento.

Data la sua posizione profonda all’interno dell’articolazione del ginocchio, il LCA non è direttamente palpabile, rendendo necessaria una valutazione basata su un completo esame clinico integrato da una dettagliata anamnesi. Le differenze di mobilità articolare rappresentano uno degli indicatori diagnostici chiave: mentre le distorsioni di primo e secondo grado possono manifestarsi con minime variazioni del range di movimento, le lesioni di terzo grado, contraddistinte da un’eccessiva ipermobilità, risultano più facilmente riconoscibili.

Va, tuttavia, sottolineato che in alcuni casi le lesioni complete (distorsioni di terzo grado) possono sorprendere clinicamente, presentandosi con artrosi ipermobilità e un relativo assenza di dolore al momento dell’esame, a causa del completo distacco del legamento.

Per via della sua posizione intrinseca, il LCA è inaccessibile per trattamenti diretti sui tessuti molli mediante tecniche manuali. Ciò non preclude, però, il ricorso a terapie complementari: in presenza di una lesione lieve, il trattamento conservativo si concentra su esercizi mirati o programmi di terapia del movimento volti a ripristinare la funzionalità biomeccanica dell’articolazione. L’applicazione concomitante del massaggio, sebbene non direttamente rivolto al legamento in questione, può avere un impatto benefico sul miglioramento dell’equilibrio dei tessuti molli circostanti. In questo modo, il massaggio contribuisce non solo a ridurre il dolore, ma anche a mitigare la rigidità muscolare reattiva, facilitando un recupero più efficace e la prevenzione di disfunzioni complementari.

2. Separazione della spalla

Nella terminologia clinica, il termine “separazione della spalla” viene spesso erroneamente associato a una lussazione gleno-omerale, in cui la testa dell’omero si disallinea dalla fossa glenoidea. In realtà, la separazione della spalla indica una specifica lesione dei legamenti che supportano l’articolazione acromioclavicolare (AC), l’area di contatto tra la clavicola e il processo acromiale della scapola.

L’articolazione acromioclavicolare è rafforzata da una complessa rete di legamenti. In particolare, il legamento acromioclavicolare riveste un ruolo primario nel mantenimento della stabilità locale e rappresenta la struttura più frequentemente compromessa in caso di trauma. Ad esso si affiancano i legamenti conoide e trapezio, che insieme costituiscono il complesso coracoclavicolare, aiutando a mantenere la clavicola in una posizione corretta rispetto al processo coracoideo della scapola (immagine sotto).

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I meccanismi traumatici che portano a una separazione della spalla sono generalmente associati a impatti diretti: ad esempio, il contatto della spalla superiore con un oggetto pesante o una caduta in cui l’energia dell’impatto viene trasmessa direttamente alla regione del complesso AC. Tali eventi determinano una distorsione dei legamenti di supporto e possono, in casi di trauma elevato, coinvolgere anche altre articolazioni limitrofe, come quella sternoclavicolare, dove un’eventuale lussazione dell’estremità prossimale della clavicola può generare compressioni o danni a strutture vitali quali la trachea o la vena giugulare.

La diagnosi della separazione della spalla si fonda su un’approfondita valutazione clinica e anamnestica, data la natura spesso subdola della lesione e la difficoltà di esaminare direttamente i legamenti, che non sono palpabili a causa della loro posizione profonda. L’entità della lesione viene classificata in base al grado di distorsione e al coinvolgimento dei legamenti acromioclavicolari e coracoclavicolari, permettendo al medico di delineare il percorso terapeutico più adeguato. Le lesioni leggere richiedono un approccio conservativo, mentre i casi più gravi possono necessitare una gestione terapeutica integrata per ristabilire la normale biomeccanica dell’articolazione.

Il trattamento delle separazioni della spalla di modesta entità si basa principalmente su interventi fisioterapici che mirano al ripristino della stabilità e della mobilità del complesso acromioclavicolare. Una corretta posizione della clavicola diviene essenziale nel momento in cui i legamenti iniziano il processo di ricostruzione e si forma il tessuto cicatriziale. A tal fine, l’utilizzo di dispositivi ortopedici, come tutori per il braccio, risulta frequentemente indicato per garantire un allineamento corretto durante la fase di guarigione.

In aggiunta, le tecniche di massaggio, in particolare il massaggio con frizione profonda, possono favorire la rigenerazione del collagene all’interno delle fibre lesionate. È tuttavia opportuno evitare questa modalità nelle prime 72 ore successive all’infortunio, periodo durante il quale la fase infiammatoria è in atto. Nei casi di lesioni più impegnative, si consiglia una tempistica ritardata per l’applicazione di tecniche di frizione, sempre in stretta consulenza con il medico curante. Il massaggio, unito a sessioni di stretching mirate all’intero cingolo scapolare, aiuta non solo a prevenire la formazione di spasmi muscolari, ma anche a ridurre l’insorgenza di aderenze capsulari che possono derivare da periodi prolungati di immobilità.

3. Distorsione del legamento spinale

La colonna vertebrale, struttura fondamentale per il supporto e il movimento del corpo, è stabilizzata da una rete articolata di legamenti che garantiscono integrità e mobilità controllata. L’interazione sinergica di questi tessuti connettivi assicura la distribuzione delle forze meccaniche e la protezione contro movimenti eccessivi. Tuttavia, in seguito a traumi o sollecitazioni improvvise, tali legamenti possono subire distorsioni che compromettono la funzionalità spinale.

L’architettura dei legamenti spinali varia in funzione della loro posizione e del ruolo biomeccanico affidato. Un esempio significativo è rappresentato dai legamenti intertrasversali, che si estendono tra processi trasversali adiacenti e, nonostante la loro sottile struttura, offrono un supporto limitato al mantenimento della congruenza vertebrale (immagine sotto).

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In contrasto, la porzione dorsale dei legamenti sopraspinati, originariamente derivata dall’insieme dei muscoli erettori della colonna, risulta più simile a un tessuto tendineo. Questa caratteristica ne amplifica la funzione nella trasmissione delle forze contrattile, assicurando una perfetta integrazione fra l’azione muscolare e la stabilità spinale.

Particolarmente rilevante nella regione lombare è il legamento ileolombare, la cui funzione principale consiste nel fissare la vertebra L5 alla cintura pelvica. Quest’ancoraggio è cruciale per prevenire lo scivolamento anteriore e limitare le distorsioni rotazionali che potrebbero compromettere il compartimento lombare-inferiore. La posizione strategica e la vulnerabilità intrinseca del legamento ileolombare lo rendono predisposto a distorsioni in seguito a forze repentine, spesso innescate da incidenti o traumi sportivi.

La diagnosi delle distorsioni dei legamenti spinali pone notevoli sfide a causa della loro localizzazione profonda e dell’interposizione di abbondanti tessuti molli. L’esame, sebbene indispensabile, può non essere sufficiente per evidenziare alterazioni minime. In tali contesti, l’impiego di tecniche diagnostiche avanzate, come la risonanza magnetica (MRI), diventa essenziale per la visualizzazione accurata della microstruttura ligamentosa. Inoltre, l’esecuzione di test di movimento specifici, combinata con una dettagliata anamnesi, consente al medico di identificare le modalità di lesione e di valutare l’entità del danno in modo più preciso.

Il trattamento delle distorsioni dei legamenti spinali richiede un approccio integrato che tenga conto delle fasi acute e croniche del processo lesivo. Durante la fase acuta, caratterizzata da una risposta infiammatoria, è cruciale limitare le sollecitazioni meccaniche mediante il riposo e l’adozione di posizioni che minimizzino lo stress sulla colonna vertebrale. Il successo del recupero si basa, in parte, anche sul trattamento conservativo dei tessuti molli circostanti.

Analogo a quanto osservato in altre lesioni ligamentose, l’applicazione di manovre massaggio possono favorire la normalizzazione del tono muscolare e prevenire la formazione di aderenze. Sebbene il massaggio a frizione profonda possa avere un’efficacia limitata per intervenire direttamente sui legamenti più profondi, tale intervento risulta beneficiario nelle aree in cui i legamenti, come l’ileolombare, sono caloricamente più accessibili. L’obiettivo è duplice: ridurre gli spasmi muscolari indotti dal dolore e agevolare la formazione di un tessuto cicatriziale funzionale, elemento essenziale per il ripristino della stabilità vertebrale.

Nel contesto del massaggio, i professionisti tendono a focalizzarsi prevalentemente sul tessuto muscolare, considerato elemento cardine nell’interpretazione del dolore. Questo orientamento, sebbene radicato in una consolidata esperienza, rischia di semplificare eccessivamente la complessità strutturale e funzionale del corpo umano, attribuendo di default ogni fastidio a una mera disfunzione muscolare.

Una valutazione più ampia ed approfondita richiede di estendere l’attenzione anche ad altre componenti anatomiche. Ad esempio, disturbi come le distorsioni dei legamenti spesso si manifestano in maniera sottile e sfaccettata, coinvolgendo meccanismi articolari e di stabilizzazione che trascendono l’ambito muscolare.

Investire nell’aggiornamento continuo e nel superamento di una visione unidimensionale del dolore non solo incrementa le competenze del massaggiatore, ma eleva anche il livello qualitativo dell’intera pratica. Ciò, a sua volta, incrementa la fiducia dei clienti nei confronti del professionista, consolidando un percorso di cura basato su evidenze e personalizzazione.

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